<“Taranta d’Inchiostro” (Oèdipus editore) è la mia dodicesima pubblicazione di poesia che in questo caso trae ispirazione dal tarantismo, argomento che mi ha sempre affascinata e incuriosita.L’intera silloge, prefata dal prof.Floriano Romboli e con postfazione dello scrittore Antonio Spagnuolo, prende avvio dalla poesia d’amore “La notte della taranta”:”Quale ragno mi ha morso?/Prova col nastrino colorato/ amore/ma tanto già ne conosco il nome/
come già ne so l’antidoto:/tu il veleno/ il contro veleno/la mia terapia coreutica/E abbracciati balliamo/in pizzica lenta/ad uccidere un ragno che non c’è.(dalla Sez.1- La Taranta).Da questo spunto iniziale mi spingo in seguito ad un’allegoria della vita stessa, con i suoi nodi ed intrecci, concetto già in nuce nell’esergo faulkneriano “siam tutti intrappolati in ragnatele tessute prima che nascessimo” nonché nella ragnatela della casualità e della potenzialità. In tale ottica la figura del ragno può avere varie funzioni a seconda del punto di vista del lettore. Chi è dunque il ragno? Per me s’identifica con il poeta, di per sé una sorta di demiurgo, il cui unico più alto equivalente è la figura dell’Eterno.Si veda ad esemplicazione di quanto detto, il testo d’apertura “L’architetto” di cui riporto i versi a cui ho fatto riferimento: Tesseva un filo in più il ragno/ come aggiungesse da poeta un altro verso/ entrambi mattoni all’universo/ al cospetto/ dell’unico Architetto/
il più/ alto Maestro.
Il testo citato è scritto in corsivo così come la poesia che chiude il volume, “Nell’ovattato silenzio”, venendo a formare in tal modo una sorta di emblematica ring composition con la lirica iniziale.
Personalmente penso che il significato assuma senso e misura grazie al significante, in un connubio in cui tuttavia l’azione della parola assume un ruolo di ristrutturazione creativa della realtà. In quest’ottica il ruolo del significante è egemone, anche se forse una sintesi più esatta di quanto intendo può essere trovata in questo mio pensiero “A mio avviso il senso del verso è da intendersi sia a livello logico che emotivo in quanto per scrivere poesia avverto l’esigenza di uno stimolo concreto, spesso di natura visiva”.(1)
L’intento è il superamento della connotazione della realtà
tramite la parola, senza tuttavia abdicare del tutto alla dimensione concreta ed efficace, al significato, al senso che il verso trasfigura tramite un significante, che la riscrive sia a livello logico che a livello estetico e sinestetico.
Nei miei versi penso che comunque vi siano l’uno e l’altro, cioè si riscontrino la preoccupazione dei “significati” e l’attenzione al gioco fonico e ritmico dei “significanti”; per la definizione di essi mio punto di riferimento è tra gli altri, la distinzione di Ferdinand De Saussure, che ispira e sottende lavori critici di grande valore come quelli di Gianluigi Beccaria consegnati al volume einaudiano “L’autonomia del significante”.
Valeria Serofilli
29 novembre 2020
Cultura e Società